Roba


I sentieri lungo i recinti
I baci sul naso
Gli occhiali troppo grandi
I retri sgangerati delle case
La pelle bagnata
I semafori quando piove
I corridoi degli alberghi
Il rumore del fieno raccolto
Le case riflesse sull'acqua
La nebbia tra i pini
Gli ombrelli
Le chiese
Gli inchini
L'odore del pelo dei gatti

Mele

Non ci sono più tetti per i nostri gatti
Amore mio
Non ci sono più volpi
Nei nostri giardini
Non ci sono più foglie di salvia
O cavalli
Nei cieli verdi dei prati
Hanno lavato i nostri sogni
Che ora ci vanno stretti
Bisogna soffiare sulle nuvole
Per farle correre ancora
Sono lontani i grandi occhi
Che ribaltavano il mondo
Da quanto tempo non sto sulla terra
Tra l'erba amara e pelosa
Eppure basta che venga a visitarmi
Il tuo animale piangente
Che mondi interi si aprono
E leoni e cani e volpi e cavalli
Corrono dalle foreste
Entrano nella nostra casa
Volano dalle finestre
Come cavallette
E siamo bambini ancora
Nella terra delle mele perfette

Ieri

E' incredibile cosa succede nella vita alle volte. Tornano su delle cose, e altre vanno giù, in fondo. Il presente si scorda di presentarsi, il futuro, quello, è sempre in ritardo. Solo il passato è uno di cui fidarsi: torna sempre, come quei cani dispersi, come quelle comete che girano, come quelle cose che pensi di aver perso e invece ritrovi nelle tasche di un vecchio paltò, in fondo a un cassetto, in una pagina di un libro, in un archivio segreto. Come quei soldati dimenticati in trincea, che restano lì a combattere, e non lo sanno che il passato è passato, non glielo ha detto nessuno. Io gli voglio bene, al passato, non vorrei andasse mai via. Gli voglio bene come a un cane o a un fratello. E come i cani e i fratelli, ogni tanto ti portano indietro qualcosa, un ricordo, una donna, un bastone, una foto, un gruppo di gente che ha ancora qualcosa da dirsi.

Altrove

In qualche parte del mondo, altrove, fioriscono i rododendri. Su colline erbose fredde di pioggia, su giovani germogli pallidi, su acque che corrono tra sassi stretti, su intrichi di radici e sui tempi passati, altrove, fioriscono i rododendri. Con colori grassi e convulsi, fioriscono ovunque, insultando l'inverno che fugge. Fioriscono ovunque, non qui, ma da qualche parte, nel mondo.

Puzza

Cosa curiosa
come
il profumo dei fiori 
è presto portato 
dal vento 
e la puzza 
di merda 
quella
anche dopo uragani
rimane

Pezzi

Ho sentito tante storie, leggende, favole. Molte di queste raccontano della morte, del paradiso e dell'inferno. Ma tutte hanno una cosa in comune: l'identità. Per quanto terribili siano le pene dell'inferno, difficilmente si perde l'identità. E comunque o si va all'inferno, per intero, o in paradiso. Se il tuo cuore pesa più o meno di una piuma, questo decide il tuo viaggio. Preferiamo andare per intero all'inferno che pensarci divisi. Invece una storia, una leggenda, che è la mia preferita, dice un'altra cosa. Che ogni volta che qualcuno ci odia, ogni volta che odiamo qualcuno, ogni volta che, anche per un attimo, vogliamo del male, la nostra anima si divide. E quando moriamo, tutto il bene di cui siamo stati capaci va in paradiso, libero da tutti i momenti di meschinità con cui l'abbiamo appesantito, e tutto il male finisce all'inferno. Un pezzo di ogni farabutto, magari piccolissimo, sarà sempre in paradiso, e un pezzo di ogni santo all'inferno. E mentre il paradiso sarà poter amare tutti, anche i peggiori, la nostra pena, all'inferno, sarà quella di subire tutto l'odio che abbiamo suscitato negli altri, senza che essi abbiano alcun amore a fermarli, alcuna pietà. I nostri demoni saranno i pezzi delle persone che abbiamo guastato. 

Noia

Noia. Noia che allappa, percola, fluisce. Noia che cresce lentissima come muschio marrone, ricopre ogni stupore, già visto, già visto, già visto. Tutto quanto ripete se stesso, si aggira e rigira, come una macina a vento, e produce farina di noia, finissima polvere, infiltra ogni cosa e la imbianca e ti soffoca e cerchi di spingerla altrove, e sollevi altra polvere che ricade e riforma altra noia. Lontani i cavalli guardano l'orizzonte gelato. Lontane le nuvole corrono in fondo a orizzonti oramai esplorati. Tutto mappato, trascritto, i dettagli li trovi nel terzo scaffale. La noia. Compagna invadente, completa ogni frase con luoghi comuni e battute che non fanno più ridere e racconti mandati a memoria. La noia. Cammina strisciando le scarpe consunte su strade che girano in tondo, ti vede, solleva la testa, saluta, buongiorno, buongiorno, e prosegue, e pian piano ti accerchia e non vedi più niente, non credi più a niente e a nessuno, soltanto a te stesso che dice buongiorno, buongiorno, è tutto normale, è tutto tranquillo, è tutto diritto, avanti che il tempo non passa, ma gira in quel cerchio fatale che è fatto, per la parte maggiore, all'incirca al novanta per cento, di noia.

Notte

C'è un azzurro freddo e disperato in quell'incavo tra i monti  che segna l'inizio della valle. Il giorno non esiste più, solo una luce lontana e riflessa. Stracci di nuvole nere si arrotolano nel vento. Un mare nero si agita nel sonno. Sono immobili le stelle. Gli architetti del cielo aprono i loro compassi. E inizia la notte.

Male

Io non sarò un grande ottimista. Ma lo vedo ogni giorno, io, il male. Quello atroce, quello osceno. Quello dei campi, delle prigioni. Non è un male che è stato o un male che sarà. E' un male che è, oggi, ogni giorno. Nelle corsie degli ospedali, nell'abitudine, nella noia, nella stanchezza, negli occhi senza vita di esseri senz'anima che popolano corridoi oscuri. E' un male in attesa di un'occasione, di un momento debole, di un capogiro. E' un male che è pronto a far male. Tanto, troppo, tutto il male è pronto a compiersi, nella carne, nella mente. E' sempre stato lì, dietro sguardi assenti, accumulato come sabbia in una clessidra di infinitesimi dolori. Pronto a diventare forbice, coltello, fucile, denti. Non c'è da attendere, non c'è da temere. E' già nei pomeriggi di casalinghe tristi, nelle lunghe ore di impiegati grigi, di infermieri assonnati, di poliziotti solitari. Attende solo una porta chiusa, uno sguardo voltato, una telecamera spenta.

Finalmente

Ce ne sono di uomini così. Vestiti marroni su maglioncini grigi. Ossa grosse. Vite come i cavalli da tiro. Cuori scoppiati. Paraocchi. E sempre avanti. Gente che è in piedi presto. Ghiaia che scricchiola nel retro dei parcheggi. Lunghe, tristi, automobili sulle superstrade deserte nel tempo allungato del sabato pomeriggio. Superalcolici di lusso. Piaceri sordi, soffocati. Tutto in attesa del lunedì mattina. Quando si riemerge da quest'acqua torbida di anice e senso di colpa. Quando si torna ad alzare finalmente la voce. Finalmente.

Lepri

Quando sei giovane. Quando sei giovane non fai progetti. Non ti sei ancora abituato. Non ci conti. Sei qui da poco, e fa niente se te ne vai. Può capitare. Poi ti affezioni, cominci a dare per scontato il fatto di esserci. Cominci ad avere un posto, un ruolo. Fai progetti. Progetti che contano su di te. Persone che contano su di te. Ma non siamo fatti per i progetti. Siamo l'ombra di lepri che corrono nella notte. Non si può contare su di noi. Corriamo troppo in fretta, in una notte confusa e senza senso. Come l'ombra della lepre nella notte, ci vedi e non ci vedi, ora ci siamo e ora c'è solo la notte.

Ossa

Mi sono rotto tutto. Tutte le ossa, dentro. Mi sono rotto le ossa delle mani, della testa. Mi sono rotto come i biscotti dentro la scatola. Ora sono fatto di briciole, di pezzi. Se mi muovi, su e giù, senti come un fruscìo di cocci, di gusci spezzati. Non che mi dispiaccia, anzi. E' bello sentire il rumore del mare.

Vento

Vento soffia, vento, soffia. Il vento mi rende inquieto, irrequieto. Non lo fa sempre, non lo fa con tutti? Non lo so. A me rende irrequieto, mi fa venire voglia di dire cose come "per favore, per favore, smettila". Mi fa vedere cose, il vento, me le fa sentire, soprattutto. Cose che si agitano, neanche a dirlo. Cose che corrono, imprendibili. Cose che ti sbattono addosso e ti fanno male, ma il tempo di accorgerti e non ci sono più, e non sai dove sono. Sono come stracci neri, le cose, stracci neri, sporchi, che si agitano. Fuggono, si fermano, ripartono, tutto con violenza, tutto contro ogni volontà. Il vento non ascolta. Il vento non si ferma. Continua a farti sentire cose che non vuoi sentire, continua a confonderti. Porta altra notte alla notte, stracci neri, sporchi, che sbattono.

Passa

Sette di fiori, asso di picche. Il bianco diventa nero, il nero diventa rosso, il sopra diventa sotto. Passa il vento sulle foglie e sui rami. Passa e li fa traballare. Sette di fiori, asso di cuori, donna che non perdoni. Il forte diventa stanco, il nero diventa bianco. Gira il vento sulle foglie e sui rami. Gira e li fa girare. Passa il tempo sulle nostre mani. Passa e ci fa passare. Lega la pianta, legala stretta, non la fare scappare. Legala con un filo verde, che non si possa spezzare. Sette di dentro, asso di fuori, non mi so bastare. Passami vento, passami dentro, non mi lasciare andare.

Serie

Non è un momento. E' una serie. Una lunga collana di eventi che sfilano, come una parata, ognuno suonando il proprio strumento. E' una ghirlanda di fiori tristi. E' qualcosa che vuoi vedere, vuoi vedere passare. E' una goccia che cade, dopo un'altra. Un grondare di piccole cose, una clessidra che si riempie segnando ore, giorni, pomeriggi, minuti. Non è qualcosa di cui ti liberi ridendo, come una pioggia non sposta le montagne. E' una serie di onde che si schiantano su quello che resta della terraferma, con un metodo antico, incessante, che è la somma di tutte le vittorie e di tutte le sconfitte.

Bip

Mi sono reso conto di aver imparato. A fare cosa, direte. A fare BIP. Quel suono, quel colpetto di clacson, che per anni ho solo subito, ai semafori. Prima mi trattenevo, non lo facevo, ero poco allenato. Quindi usciva o una clacsonata lunga, cafona, ma dove siamo, a Mergellina? Oppure peggio, la clacsonata retrograda, quella che non esce niente. Un tocco poco fermo, e addio, tutto si ferma sul volante. Invece, oggi, quando un SUV si è addormentato pachidermico di fronte ad un verde che pareva l'Irlanda nel pieno di giugno, ecco, lì, è uscito il BIP perfetto. Stentoreo, breve, ma virile, distaccato, ma fermo, deciso. BIP. Vai, vai, testa di cazzo.

Chiuso

Hai chiuso bene? Il tempo, le giornate, la luce, l'aria. Li hai chiusi bene? Uno dentro l'altro, come scatole con dentro scatole, più piccole. Spero tu abbia chiuso tutto bene. Che non entri il vento, il freddo, la neve. Che non entrino gli spifferi, le maldicenze, le oscurità. Spero che la serratura scatti felicemente sul tuo mondo, e lasci fuori un altro mondo. Spero che il tuo cuore vaghi nella notte come un pipistrello, ma che il tuo corpo giaccia in un luogo chiuso. Spero che i tuoi occhi siano ben chiusi, le tue porte, le tue finestre, tutto il tuo castello. Spero che non si possa entrare, fino a domattina. Un momento di silenzio, e di tranquillità, a porte chiuse.

Gelosia

Cos'è la gelosia? Di cosa siamo gelosi? Dell'amore? Del corpo? Della vita stessa? Che ci sia vita, altrove? Che ci sia un altrove. Che ci sia un altrove senza di noi. Che ci sono state e ci saranno voci, e risate, e grida, altrove. Che si sono stati e ci saranno altri tempi, altre stagioni, altri piccoli fiori nel vento. E noi, noi, saremo altrove. Cos'è questo buio, oscuro, pericoloso? Cos'è questa nuvola gonfia di tempesta? Questa goccia, questa prima goccia, che cade? Infine, siamo gelosi di non essere soli, di non essere unici, di non essere gli unici. Ognuno. Vorremmo forse il vuoto? Saremmo gelosi del vuoto? Non è desiderio, la gelosia, non è odio. E' vuoto essa stessa, è un abisso su cui galleggia una superficie opaca. Siamo gelosi che il mondo, l'universo, non sia un solo, grande boccone che possiamo inghiottire, e far nostro, per sempre. E come un Dio che ha cambiato il suo senso, riprenderci la creazione, riprenderci l'amore, riportarli in noi, e dormire, sazi, per sempre, in quell'unico punto in cui tutto è - unicamente - la più infinita delle solitudini.

Incastri

Oggi c'è un silenzio bianco e spesso. File di luci sfocate. "Ah ci credo" dice qualcuno con la voce di chi parla all'aperto, al freddo. Il sole taglia come una lama di porcellana. Di cani, nemmeno l'ombra. Non ci sono altri suoni. Ferro su ferro, gente che crede a quello che vede. Il mondo prova qualche cosa di illogico per vedere se funziona, non gli piace, lo ritira. Incastri di metallo, ancora, cose pesanti che vanno giù e non è mica facile tirarle su di nuovo. Cose fredde, oscure, indifferenti, consumate. Vanno una dentro l'altra, e rimangono così. Chissà per quanto, magari per sempre. Magari fanno la ruggine, si saldano. Magari diventano una cosa sola, nel freddo, nel sole, nelle stagioni che vanno. Magari è giusto così.

Excel

Vieni qui. Facciamo i conti. Io ti devo dare due baci. Tu qui, nella cella A47, uno virgola trentasette. Poi io un giorno ho detto una cosa sghemba. Quella la contiamo come meno uno. Se smetto di respirare facciamo che prendi tutto tu. Facciamo una tabella pivot, vediamo se torna tutto. Qui sulla riga O di Otranto, o qui sulla riga B di Budapest, sui lunghi rettilinei delle autostrade dove ho avuto paura di dirti le cose. Facciamo che questo lo mettiamo in rosso. Qui facciamo una formula, aperta parentesi, noi che siamo uno più uno più la riga G di Gatto, moltiplicato per i chilometri, per i passi, per le storie, per le facce di pietra dei musei e delle cattedrali, diviso: le fatiche, le serate storte, i capricci. Chiusa parentesi, per le maniche tirate sui polsi, elevato a potenza per quando va via la luce e noi no. In fondo facciamo una riga in grassetto con i totali, belli, chiari, e facciamo che sono scritti in azzurro come il cielo che vedo dalla finestra. E facciamo che viene sempre domenica.